Success is a choice. Parto da questa frase, il titolo dell’ultimo libro che Roberto Iezzi ha letto (Instagram, a volte, è meglio di un detective). Per completezza di cronaca l’autore del testo è il coach Rick Pitino, una leggenda della pallacanestro americana, che negli ultimi due anni è sbarcato pure in Europa per sedere sulla prestigiosa panchina del Panathinaikos Atene.

E proprio il basket è al centro della storia di un ragazzo che seppur ancora giovane è seguito come un esempio di successo nella preparazione fisica da tantissimi. E’ da due anni lo Strength and Conditioning Coach dell’Hapoel Gerusalemme, squadra che è attualmente al secondo posto del massimo campionato nazionale e al primo posto del proprio girone di Champions League. Nato il 16 gennaio 1986 a Pescara, Roberto è una persona aperta, disponibile e molto preparata che ho avuto modo di ascoltare in più di uno speech e che mi ha fin da subito conquistato.

Lo ringrazio per aver accettato l’invito ad essere “intervistato” tramite video chiamata perché lo ritengo di grande ispirazione per i giovani colleghi che iniziano a calcare il mondo del lavoro nello sport, ma non solo. Le sue parole sono tranquillamente trasportabili in qualsiasi ambito di business e di lavoro di team, dinamiche che insomma possono presentarsi in qualsiasi azienda anche di grande livello.

 

 

Roberto, racconta il tuo legame con lo sport e di come questo germe sia cresciuto in te fino a diventare la tua scelta professionale

Sono sempre stato un bambino molto attivo e da quando ho 5 anni (fino all’anno scorso!) ho interpretato con tutto il mio cuore un solo sport, il baseball. Durante l’adolescenza mi sono trasferito, per motivi di lavoro di mio padre, ad Udine ed i miei genitori mi hanno sin da subito portato al palazzetto a vedere le partite di basket della Snaidero Udine che militava in serie A1. Nel giro di poco tempo il basket è diventata la mia seconda passione nonostante mi sia sempre limitato a praticarlo con gli amici al campetto, niente più.

Dove hai frequentato l’università e cosa ti ha spinto a scegliere Scienze Motorie?

Nonostante in famiglia e tra gli amici non fosse considerata una scelta “seria” (risata d’intesa di entrambi, ndr) sapevo sin da quando ho inziato a frequentare il liceo che il mio lavoro sarebbe stato il preparatore fisico, lo sport è la mia vita e l’ho sempre saputo e sentito. Ho frequentato la facoltà di Scienze Motorie proprio ad Udine, una fortuna per me in quanto il livello didattico è di altissimo livello (per tre anni ho avuto come professore di fisiologia Pietro Enrico Di Prampero, ricercatore di fama mondiale). Ho poi completato gli studi presso lo IUSM di Roma, rivelatasi un’ottima scelta; molte società sportive della capitale si rivolgono direttamente a questa Università per assicurarsi i migliori studenti e farli entrare nei loro staff e io ho ricevuto subito dopo la laurea la chiamata della Stella Azzura Roma”

La Stella Azzurra è la società di pallacanestro che investe più risorse nel settore giovanile (attorno a cui ruota tutta l’attività) a livello italiano. Sarà stata una bella palestra per te. Riassumi i passaggi della tua carriera a partire proprio dall’esperienza romana fino al 1° agosto 2018…

I primi sette anni di carriera vissuti alla Stella Azzurra sono stati fondamentali; sento di essere cresciuto e migliorato ogni singolo giorno, dopo i primi due anni di assistente per il restante tempo sono stato l’head physical coach e dal punto di vista pratico ho sempre avuto carta bianca. Questa è una fortuna che hanno in pochi, mi rendo conto, poter lavorare con un materiale umano di alto livello (seppur giovanile) senza pensieri e con la possibilità di sperimentare tutto quello che mi veniva in mente per migliorare i ragazzi. Qualsiasi idea o intuizione mi venivano avvallate dai responsabili della società e devo dire che questo è stato un gran vantaggio per me.

Nell’estate del 2015 arriva la chiamata della Tezenis Verona, ambiziosa squadra di serie A2. Dal giovanile vieni catapultato full time in una squadra senior

…catapultato in un mondo tutto nuovo, fatto di molti aspetti che non conoscevo e non immaginavo ancora: se alla Stella Azzurra concentravo tutte le mie energie e concentrazione su quel che succedeva in palestra ed in campo, sin dal primo giorno di pre season a Verona ho capito che la mia figura era molto di più, un professionista che deve spaziare a 360° attorno alla vita degli atleti e dello staff. Alla Tezenis ho avuto la fortuna di avere come head coach della squadra Marco Crespi, che mi ha letteralmente girato come un calzino insegnandomi tutto, gli devo davvero tanto. Tornando al famoso primo giorno di raduno, sono arrivato due ore prima dell’inizio carico e voglioso di fare bella figura; ho preparato con massima cura tappetini, elastici e tutto quello che sarebbe servito per la seduta di allenamento e appena ho incontrato Crespi lui mi ha detto “l’aria condizionata è troppo bassa, vedi di rimediare”, io gli ho sorriso come se la sua fosse una frase ironica ma lui è rimasto serio ed ho capito che quello d’ora in poi sarebbe stato mio compito! Non solo ovviamente, preparare i drink per i vari giocatori ed avere tutta una serie di attenzioni in più, relazionarmi con lo staff medico ed assicurarmi che tutto ma proprio tutto fosse in ordine per quanto concernesse qualsiasi aspetto del mio lavoro. Insomma, arrivato con tanta sicurezza ed un pizzico di presunzione, dopo una settimana insieme al coach mi sono reso conto che non sapevo proprio nulla! Tutte queste nozioni non le si trova in alcun libro, bisogna essere bravi a riceverle ed elaborarle personalmente; ad esempio quali informazioni raccogliere dai giocatori e come poi utilizzarle per interfacciarsi nel modo migliore con lo staff tecnico, il management e lo staff medico. Tutte queste cose mi hanno fatto crescere esponenzialmente e le ho portate fin qui a Gerusalemme, con l’obiettivo di migliorarle ulteriormente.

Le due stagioni successive passi alla PMS Moncalieri

Sì, dove trovo come capo allenatore Lorenzo Pansa, discepolo di Crespi, con cui infatti mi sono trovato molto bene sin da subito. Ho allenato il settore giovanile e la prima squadra che militava in serie B, anzi al secondo anno siamo purtroppo retrocessi. Quell’estate ero con la nazionale under 18 maschile in Lettonia agli Europei giovanili quando, il 1° agosto, mi arrivò una chiamata con la C maiuscola. Era Francesco Cuzzolin, preparatore della nazionale maggiore (che non riesco a definire diversamente se non come il guru della pallacanestro italiana e decisamente non solo, ndr) che mi proponeva la possibilità di avere un colloquio con l’Hapoel Gerusalemme…

Il Paese natale di mia moglie ti ha portato fortuna! Quanto ci hai dovuto pensare per rispondere?

Il tempo di chiamare la mia ragazza e proporglielo, lei ha accettato subito e dopo un’ora avevo già risposto affermativo a Cuzzo. Dopo un colloquio sono stato scelto e mi sono trasferito nella 17esima città della mia vita

Racconta la tua esperienza in Israele e in cosa senti che puoi ancora migliorare come professionista

Ti rispondo subito, devo assolutamente migliorare la COMUNICAZIONE con i giocatori. Fino a prima di partire per questo ruolo all’estero mi sono sempre interfacciato con atleti molto giovani e anche più giovani di me perciò non ho mai dovuto concentrarmi a fondo sulle modalità dialettiche e di approccio. All’Hapoel mi sono ritrovato davanti tutti giocatori di altissimo livello e parecchi americani (9 in roster quest’anno) con esperienze ai massimi livelli (Roberto l’anno scorso ha lavorato con Amar’e Stoudemire, per esempio!) provenienti tra l’altro da luoghi e contesti dei più disparati: ci vuole un approccio completamente diverso con un giocatore laureato a Stanford rispetto al ragazzo cresciuto nel Bronx…e ho avuto entrambi i casi. Sto curando, migliorando ma penso di avere ancora tantissimo margine sull’aspetto comunicazione e sono convinto che colmarlo possa essere un ulteriore punto di svolta nella mia carriera: avere sotto controllo quello che succede in palestra ed in campo e parallelamente essere capace di gestire la comunicazione con staff tecnico, medico e management. Per quanto riguarda nel dettaglio gli atleti devi sapere e tenere presente ciò che vogliono e ciò di cui hanno bisogno, dimostrandogli che hai a cuore sia la loro prestazione quanto la loro carriera. Anche perché, a differenza del basket giovanile dove un ciclo all’interno della stessa società può durare anche 7 anni per un atleta, a livello professionistico è ben più breve, spesso non si arriva a due anni consecutivi, perciò essere in grado in breve tempo di “entrare” nel giocatore è fondamentale e da lì può prendere forma la migliore programmazione del lavoro fisico.

Hai avuto momenti di difficoltà durante la carriera? Come li hai superati?

Durante la mia stagione a Verona, a cavallo tra dicembre e gennaio due dei nostri migliori giocatori hanno subito due infortuni piuttosto gravi, anche se si sono trattati di uno strappo muscolare dovuto ad una scivolata accidentale su una chiazza di sudore in campo e l’altro una distorsione importante della caviglia durante un atterraggio, per essere ricaduto su un piede di un compagno di squadra. Seppur non riconducibili ad errori di gestione di carichi fisici, vuoi che sono avvenuti uno in sequenza all’altro, vuoi che fossero i due migliori giocatori del roster, ho sentito tantissima pressione su di me. Ai tempi ero giovane, ancora alle prime armi e con le “spalle piccole” perciò ho passato due mesi davvero duri, tosti. Sono riuscito a superarli grazie alla testardaggine ed alla capacità di continuare sulla mia strada, continuando con la mia programmazione ed il mio metodo. Questo dopo essermi fatto delle domande, analizzato la situazione a fondo ed aver capito che di errori decisivi tali da stravolgere il mio credo non ne avevo commessi. Fortunatamente anche il sostegno del capo allenatore mi ha aiutato a lasciarmi alle spalle quel periodo.

A livello di studi o di carriera hai mia avuto ripensamenti o idea di cambiare qualcosa?

No, con gli studi sono sempre stato soddisfatto e convinto. A livello di carriera, se un giorno potessi lavorare nel baseball (che per me significa farlo negli States) sarebbe incredibile, da pelle d’oca. Ma attualmente non è una cosa che cerco, sono completamente concentrato sulla pallacanestro.

Messaggio per i giovani preparatori, tre aspetti imprescindibili per avere successo

  • E’ fondamentale mettere in pratica ciò che si studia, a partire dalla pratica su sé stessi. Per esempio io prima di proporre un nuovo esercizio ad un atleta lo provo su me stesso per 2/3 settimane, andando a sperimentare le sensazioni e scegliendo le progressioni e gli angoli ideali per lui. Attenzione a non cascare nel tranello di internet, dove si possono apprezzare esercizi belli e coreografici, che spesso però si vanno poi ad inserire nei programmi di allenamento in maniera scollegata e casuale. Errore che non deve assolutamente succedere; ciò che si studia va sperimentato
  • Scegliere le fonti giuste e specifiche al proprio campo di azione; si possono trovare corsi di ogni tipo oramai e sicuramente (quasi) tutti possono avere spunti e nozioni utili, ma bisogna essere bravi a selezionare e finalizzare la knowledge nel proprio ambito di lavoro
  • Avere uno o (pochi) più mentori, che non necessariamente devono essere figure da affiancare o che svolgono il tuo stesso lavoro; per esempio io considero mentori i già citati Crespi e Pansa. Perciò non per forza un mentore è una persona da imitare, ma deve essere qualcuno da seguire e da cui apprendere. Francesco Cuzzolin è il mio principale riferimento, ho imparato tutto da lui ed aspiro a diventare come lui, ma non ho mai avuto la fortuna di lavorarci insieme e se mettiamo a confronto i nostri metodi di lavoro ci sono comunque moltissime differenze. Perciò trovate una o poche più persone di riferimento per la vostra crescita autonoma, personale e professionale.

Cos’è per te la motivazione, cosa ti permette nelle varie esperienze lavorative e non che hai vissuto di trovare le forza di metterti in gioco ogni giorno con tante persone che non rimangono a lungo riferimenti per la tua vita, soprattutto adesso che sei all’estero?

La motivazione la coltivo molto con le letture e cercando di tenermi sempre aggiornato ed in miglioramento (Roberto conduce anche un podcast di livello pazzesco, guardatevi gli episodi di @sport.vitamins, ndr) per quanto riguarda i rapporti con le altre persone invece e le nuove situazioni è un qualcosa che ho dentro. Un altro consiglio che voglio passare a chi inizia il cammino nello sport è che se non hai già da subito il sacro fuoco ed una passione smodata per questo mondo allora il percorso richia di diventare davvero duro.

In che cosa ti sei dovuto maggiormente adattare in Israele?

Gerusalemme è una città molto particolare, ma ci si vive benissimo. Una cosa che mi ha davvero spiazzato è che in Israele non si può lavorare (e perciò allenarsi) dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato perciò questo a livello di programmazione, soprattutto della preseason, mi ha sorpreso e mi ha dovuto far cambiare i piani in maniera importante; anche se a prima lettura può sembrare una piccola cosa. Se invece una squadra ha in programma una partita sabato sera (sempre dopo il tramonto) ci sono permessi speciali per allenarsi il sabato mattina, quindi durante la stagione è più aggirabile il problema.

Per finire, classica domanda da italiano, come si mangia in Israele?

Benissimo anche se mi manca tantissimo il mio piatto preferito, che è il prosciutto crudo e che non posso consumare qua perché il maiale non si può mangiare!

 

Questa sezione del sito, “Storie Vicine e Lontane” è particolare per me perché l’ho pensata come la parte ispirante del mio blog. Per questo, in due anni e mezzo che ho aperto il sito, avevo scritto solo un articolo: deve essere un racconto (in questo caso intervista) che mi prenda e che possa farmi trasmettere a chi legge la passione e le tante sfaccettature di questo mondo.

Le parole di Roberto per me hanno un grandissimo valore, le condivido in pieno e le appenderei su tutte le bacheche dedicate alle matricole di Scienze Motorie. Chi esce dall’università pensando che solo con la laurea troverà quello che vuole si sbaglia di grosso: oltre a quello ci vogliono grandi passione, coraggio, resilienza e tante skills personali. Un collega americano che seguo come un mentore, Alan Stein Jr. ha condiviso una slide in cui si diceva che il successo è dato da tre fattori: la preparazione al 15%, la capacità di vendersi al 25% e la propria personalità al 60%. Seppur molto “americano”, secondo me questo concetto fa proprio centro!

Un passaggio chiave che voglio sottolineare è la consapevolezza di Roberto, già a 14 anni, che il suo mestiere sarebbe stato il preparatore fisico di alto livello e qui mi riaggancio alla frase iniziale, “success is a choice”. Non tutti i laureati in Scienze Motorie (io stesso) sono così bravi e fortunati ad uscire dall’università e trovare subito lavoro full time in un settore specifico. Ma per me la carriera di Roberto non è iniziata a 24 anni, ma proprio a 14 e quindi tutto torna: quando sai che la tua strada è quella è molto più semplice che prenda forma. E anche chi non ha la fortuna di trovare un bel trampolino di lancio sin da subito, basta che insista e si sbatta ed avrà comunque molte, moltissime chance di arrivare a fare ciò che sogna e fare della propria passione una professione.

Roberto ha anche condiviso nel suo racconto un duro momento di difficoltà che purtroppo nello sport di alto livello può capitare e spesso si addita univocamente come responsabilità del preparatore: gli infortuni; la realtà spesso è differente. Alla fine ciò che conta sono i fatti, ne è uscito usando la testa, la sua conoscenza ed il suo credo. Immagino che anche la stagione della retrocessione dalla serie B con Moncalieri abbia avuto qualche momento di sconforto, eppure è arrivata una chiamata sorprendente che ha saputo sfruttare al meglio.

E’ stato davvero un piacere ed una gran carica di energia per me chiacchierare con Roberto, ad maiora!

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